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Scienza e umanità: la diatriba nel vaso di Pandora

Scritto da Francesca Antonelli e Sara Belbello

Mettete davanti a un ragazzo che frequenta il nostro liceo degli esercizi di matematica, problemi di fisica, quesiti di logica: con più o meno voglia di farlo, si applicherà naturalmente per risolverlo. Non si otterrebbe lo stesso risultato se invece gli fosse chiesto di leggere un libro.

A prescindere dalle inclinazioni e dai gusti personali, è un dato di fatto che per una discreta parte di ragazzi che frequentano scuole a indirizzo scientifico e tecnico, le materie umanistiche siano un grande scoglio. Fra le argomentazioni più convincenti di chi la pensa così vi è che imparare a memoria date storiche, vite di autori e pensieri di filosofi senza un ragionamento di fondo, viene considerato noioso e poco funzionale al percorso di studi, anche in visione della scelta dell’università, che molto spesso ricade su una facoltà scientifica.

 

Il mondo universitario però, sembra ragionare in modo ben diverso, e un incontro tenutosi a scuola il 28 novembre con un’insegnante dell’Università privata John Cabot ha aperto quel vaso di Pandora che conteneva l’eterna diatriba fra scientifico e umanistico. L’incontro riguardava l’orientamento universitario e l’importante passo della realizzazione del curriculum vitae: l’intervento della docente, nonostante la pubblicizzazione dell’università, è stato molto utile e ha offerto spunti interessanti per ragionare. 

 

La riflessione che ne è nata riguarda principalmente i due tipi di competenze che vengono richieste nel mondo del lavoro e come le materie che studiamo influiscano sulla loro acquisizione; queste sono le "hard skills", cioè le competenze e conoscenze specifiche come la matematica, l’informatica e la scrittura, e le "soft skills", ovvero le competenze “sociali”, tra cui il lavoro di squadra, multitasking, capacità di adattamento.

 

Secondo la docente, e secondo coloro che regolano le assunzioni nelle grandi e piccole aziende, tanto sono importanti le competenze specifiche, quanto ancora di più quelle comportamentali. Una persona creativa, che ha avuto esperienze lavorative a contatto con altra gente, intraprendente e con un grande spirito di adattamento troverà sicuramente meno difficoltà a essere assunta in un qualsiasi luogo di lavoro piuttosto che qualsiasi altra che, a parità di preparazione, non ha avuto esperienze di questo genere.

 

 

Tutte queste caratteristiche, secondo la docente, non solo si acquisiscono coltivando i propri hobby, ma anche dallo studio consapevole e non nozionistico delle materie umanistiche. L’analisi critica di un testo di letteratura, la lettura di un libro o lo studio della storia possono aiutare notevolmente a sviluppare in ogni persona quella capacità critica utile a compiere scelte di vita consapevoli, a risolvere qualsiasi problematica si presenti e a gestire il proprio lavoro in modo ottimale. Non solo, non è inoltre giusto dare per scontato che i due mondi, scientifico e umanistico, siano così separati. Riportando un esempio dell’insegnante, in un’azienda informatica che si curi di lanciare nel mercato articoli seguendo i trend del momento, non è da eliminare l’ipotesi che possa lavorare un esperto in storia, che ha studiato e conosce l’evoluzione dell’essere umano, delle sue abitudini e dei suoi gusti. Anche se paradossale, il ragionamento è più che logico:

 

“Qual è allora il motivo per cui tanti studenti non la pensano in questo modo?”

 

Una delle possibili risposte a questo quesito sta nella modalità in cui le materie umanistiche vengono recepite dai giovani in ambito scolastico: date, vite e fatti da imparare a memoria. Semplice nozionismo. Lanciando una sfida a noi ragazzi, potrebbe essere una scoperta guardare il contenuto di questo vaso di Pandora con occhio critico e da un’angolatura diversa: quella che ti permette di riflettere su quanto possa essere un pregiudizio l’inutilità del ramo umanistico in un liceo scientifico.


Francesca Antonelli 5D e Sara Belbello 5D

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