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La vogliamo davvero questa assemblea?

Scritto da Diego Paolillo

Costruire, dal latino com strùere, ovvero unire insieme. Detta così può sembrare una parola come le altre, l’ennesimo tentativo etimologico di spiegare qualcosa che pensiamo di sapere, ma che, in realtà, ignoriamo del tutto.

L’ultima assemblea di istituto è stata un flop, non ha funzionato. Per niente. Potremmo stare qui una vita intera a lamentarci di ciò che non ci è piaciuto, dei perché, dei come mai e, comunque, non si riuscirebbe a trovare una risposta. Ecco che allora spunta una parola: costruire. Un verbo tanto piccolo e insignificante che racchiude in sé tutta la forza del mondo. Sarebbe un peccato lasciare questa parola da sola. Unire insieme e unirci insieme è difficile. Costa tempo, costa fatica, costa sudore, costa tutto quello che vorremmo evitare, perché è più facile firmare un’uscita dopo l’appello, piuttosto che sorbirsi un’ora e mezza di assemblea. È più facile uscire fuori a fumarsi una sigaretta, piuttosto che ascoltare quattro tizi che parlano. Il fatto è che tutto questo non può funzionare. E non può funzionare perché la cosa fondamentale che stiamo ignorando è che l’assemblea è un diritto. Non ci è dovuta. Nulla in quell’ora e mezza è qualcosa di così scontato e banale, da lasciarselo scappare in questo modo. Effettivamente, le ultime assemblee non sono state le più interessanti, brillanti o divertenti dell’anno. C’è bisogno di lavoro e questo è vero, ma è anche vero che se non si inizia a costruire delle basi, se non c’è nessuno ad ascoltare le parole di chi parla, si espone e si mette in gioco, quelle parole sono inconsistenti. Alla fine dei giochi, rischiamo di rimanere senza niente, neanche una noiosa assemblea di cui lamentarci. 

La storia delle assemblee non è poi così lunga. Presenti nello Statuto degli studenti firmato nel 1998 dall’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, poi dimenticate dalle istituzioni fino ai nostri giorni. Le stesse istituzioni che mettono in continua discussione questo diritto, definendolo non conforme ai fini della didattica tradizionale. Praticamente, definendolo come una perdita di tempo. Quindi, non soltanto rischiamo di perdere uno dei momenti cruciali all’interno della nostra vita scolastica ma, per di più, stiamo anche contribuendo a fomentare idee circa l’inutilità, facilmente smentibili. Se trascuro ciò che mi appartiene, a un certo punto, non mi appartiene più. E se non mi appartiene più, non è mio e, se non è mio, non posso renderlo utile. Piuttosto semplice come concetto. Piuttosto vero come effetto. Piuttosto triste come realtà.

L’indifferenza che aleggia nella scuola, non può essere l’unico tratto distintivo di noi studenti. Una volta al mese, abbiamo un’opportunità di scambio e di dialogo che non è possibile avere in una lezione frontale giornaliera. Magari, se iniziamo a costruire da ora, in futuro avremo la chiave che costruisce una scuola diversa, forse migliore.

9. La scuola garantisce e disciplina nel proprio regolamento l’esercizio del diritto di riunione e di assemblea degli studenti, a livello di classe, di corso e di istituto. Lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria

 

Art. 13 - Assemblee studentesche

1. Le assemblee studentesche nella scuola secondaria superiore costituiscono occasione di partecipazione democratica per l’approfondimento dei problemi della scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli studenti.

 

Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297 Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado


Diego Paolillo 3C

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