Post Verità

Scritto da Francesca Antonelli

Il neologismo post-truth, in italiano post-verità, è stato eletto come parola dell’anno 2016 dal dizionario di Oxford. Il termine sta ad indicare che «i fatti oggettivi sono meno influenti nel formare la pubblica opinione degli appelli a emozioni e delle credenze personali». In altre parole, vuol dire che un’argomentazione che ha un grande impatto emotivo in chi la ascolta, anche se si basa su notizie false e non su fatti verificati, tende a essere accettata come verità.

La parola è spesso legata alla politica, e il veicolo maggiore di notizie false è il web, “luogo” in cui circolano ormai tutte le informazioni che abbiamo a disposizione.

Il termine ha radici ben più lontane, ma il suo picco di utilizzo lo ha avuto nel 2016, diventando, secondo Casper Grathwohl, fra i curatori dei dizionari, una delle parole chiave del nostro tempo.

 

Ma qual è il motivo che spinge giornalisti, psicologi, politici e studiosi a interrogarsi sul significato di questa parola? E, soprattutto, come può un neologismo inglese riguardarci così da vicino? L’argomento è piuttosto complesso e recente, e come tutti gli avvenimenti complessi e recenti non può essere esplicato del tutto subito e in poche righe: si rischierebbe di dare una spiegazione banale e poco precisa. Ci sono però degli aspetti del topic che ci sono vicini più di quanto pensiamo e su quali possiamo soffermarci maggiormente con interessanti riflessioni.

 

«La rivoluzione digitale […] ha mescolato un po’ i ruoli, e ora di fatto una vera separazione tra chi dà le carte e chi le prende sta venendo a mancare. Tutti hanno il loro mazzo e giocano. Risultato: una sovrapproduzione di verità, quindi un’impennata dell’offerta, forse un calo della richiesta, sicuramente un crollo del valore. Per questo, da un po’, la verità sembra valere meno, una merce svalutata.»

 

Alessandro Baricco, in un articolo su “La Repubblica.it” del 30 aprile 2017, offre uno spaccato della situazione di oggi riguardo l’informazione. In economia, la produzione eccessiva di una merce fa sì che ce ne sia molta più in circolazione; se però essa non è molto richiesta, non viene acquistata e il suo valore diminuisce.

L’era di internet, e in particolare dei social network, ha permesso a tutti di dire la propria, di partecipare attivamente ai dibattiti, di seguire e di commentare in diretta avvenimenti e discussioni: di stare più sul pezzo. Una grande conquista dell’umanità che, però, ha portato ad un cambiamento radicale di fare informazione.

Non è necessario definire il cambiamento come sbagliato: l’uomo segue il passo dell’evoluzione e i social sono solo l’ennesimo gradino in là nella diffusione di notizie rispetto ai siti web, alla televisione, ai giornali e alle enciclopedie. È vero, però, che in un mare di post, commenti, articoli di siti internet, è difficile districarsi e giungere alla verità con una corretta informazione.

 

In questa situazione, il primo problema che sorge è quello delle fake news, che spesso fanno fatica ad essere riconosciute e creano scompensi generali: si pensi alle bufale sulle presunte morti di attori, cantanti e personaggi famosi, che danno il via a lacrime condivise e panico generale. Dopo essersi resi conto di aver pubblicato una notizia falsa, si può semplicemente eliminare il post e tutto filerà liscio senza creare troppi problemi.

 

A volte, però, le bugie che circolano sono di una portata un po’ più grande, come proposte di legge mal interpretate, programmi politici letti poco attentamente, frasi di politici estrapolate dal discorso originale.

Il picco del termine post-verità si è avuto proprio dopo la Brexit e le elezioni del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, entrambi avvenimenti che si sono giocati la propria partita anche (molto) sull’incomprensione e sulla diffusione di notizie false. Senza andare così lontano, non si può negare la grande confusione che in Italia precede le elezioni o i referendum.

La complessità degli argomenti trattati viene sempre messa da parte in favore della semplificazione, sia da coloro che pubblicano le notizie, sia da chi, un po’ inconsciamente, continua a diffonderle. Le motivazioni possono essere varie. Sicuramente, da una parte, c’è la comodità di chi l’informazione la “fa”, nel tralasciare punti salienti e nel mettere in evidenza frasi ad effetto, così da arrivare in modo più immediato alle persone; dall’altra parte il non avere i mezzi necessari per capire ciò che si legge, il condividere tutto ciò che ci piace senza preoccuparsi se sia vero oppure no, l’omettere volontariamente determinati aspetti di una situazione piuttosto che altri in base ai propri comodi, favorisce l’abbassamento della qualità di ciò che oggi circola nel web.

 

In un’intervista a Barack Obama per l’Indepent del 1 ottobre del 2016, l’ex presidente degli Stati Uniti afferma come ci sia un tornaconto per la politica e per chi fa informazione scadente nel semplificare e nel polarizzare concetti, avvenimenti, idee.

Ed è proprio la semplificazione grossolana di cui parla che ci impedisce di scendere in profondità per comprendere realmente ciò che succede: la realtà può essere letta da tanti punti vista, ha molte sfaccettature e, a differenza della tendenza di oggi di renderla ovvia, non è per niente scontata.

 

Nell’era così chiamata della post-verità, una delle chiavi per leggere la realtà in modo efficace, per non incappare nelle bufale, per non diffondere notizie false e forse anche un po’ per alzare il livello dell’informazione, è complessità: ammettere che la realtà sia complessa e avvicinarla come tale.


Francesca Antonelli

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