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Caso Regeni

Rapporti compromessi con l’Egitto? Ci sarà mai verità per Giulio

Scritto da Alex Maimone 4A

Chi ha dimenticato la vicenda di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano vittima di un presunto assassinio dei servizi di sicurezza egiziani? Per quasi due anni la questione è rimasta aperta. La sera del 7 novembre però, a Sharm el Sheikh, il presidente Abdel-Fattah al-Sīsī si è dichiarato disposto ad indagare sul caso, collaborando con le autorità italiane per scoprire i colpevoli. Per avere un quadro più chiaro di tutta la situazione dobbiamo risalire a settembre 2015, quando il 28enne friulano si trasferisce al Cairo, dove inizia gli studi sui sindacati indipendenti. In quel periodo entra in contatto con Hoda Kamel Hussein, esperta in campo sindacale, che gli presenta il venditore Mohamed Abdallah. La sera del 25 gennaio, quinto anniversario della rivoluzione egiziana, Giulio, improvvisamente, scompare. Il suo corpo viene ritrovato senza vita nove giorni dopo in un fosso lungo l’autostrada Cairo-Alessandria, in condizioni che mostrano sottoposizione a una tortura.

 

Un’emittente televisiva egiziana ha trasmesso un video registrato da Mohamed Abdallah, che ritrae Giulio mentre propone al sindacalista un progetto di finanziamento di 10mila sterline in favore delle iniziative degli ambulanti, mostrandosi inflessibile alle proposte di destinare il denaro ad altri scopi. In seguito l’uomo ammetterà di aver consegnato il ragazzo alle autorità del ministero dell’Interno.

 

Quanto la vicenda ha toccato il nostro Paese? Moltissimo. Sia a livello sociale che sul piano politico: prima della scomparsa di Giulio, l’Italia era in ottimi rapporti con l’Egitto. Noi, però, abbiamo sempre nutrito disinteresse per la violazione dei diritti umani nel Paese, continuando ad inviare armi, fin quando non è rimasto vittima un nostro connazionale. Ciò ha interrotto il nostro modo di fare politica estera. In seguito il governo italiano ha cercato un punto di equilibrio fra il mantenimento dei rapporti con Il Cairo e arrivare alla verità sul caso. “Entrambi i paesi hanno necessità di uscire da questa situazione, pervenendo a una verità che sia non inverosimile […] Ma se si dovesse arrivare a una verità di comodo, sarebbe certamente una verità incompleta, perché la storia delle violazioni dei diritti umani al Cairo è storia nota” è quanto dichiara Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. La verità storica la conosciamo, quella politica la accettiamo, nostro malgrado, per convenienza; ciò che non abbiamo è la conferma sul versante giudiziario, su cui abbiamo preferito premere per non compromettere i rapporti tra Roma e Il Cairo. Ma da chi dovrebbe partire l’iniziativa se non da noi? E, invece, ora possiamo soltanto aspettare e sollecitare il governo egiziano di far luce sul caso Regeni. A questo punto possiamo e dobbiamo chiederci: è più importante che lo Stato assolva ai suoi doveri, tra cui rendere giustizia, o che dia precedenza alla sua politica? In questo caso non si sta facendo né l’una né l’altra cosa. Certo è che i fatti non si possono cambiare; se c’è qualcosa che si può fare, è rendere la verità alla famiglia Regeni e al popolo italiano.

 

Ritornando alla conferenza del 7 novembre, al-Sīsī ha sottolineato il fatto che potrebbe essersi trattato di un tentativo di vanificare gli investimenti italiani in Egitto, ricordando che il corpo del giovane è stato ritrovato durante una missione imprenditoriale italiana. “Questo caso di Regeni ha posto fine a questa iniziativa e noi siamo stati i più colpiti” -ha detto- manifestando ottimismo sulle relazioni con l’Italia, nonostante le inevitabili difficoltà per ripristinare i rapporti passati.

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