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Castel Volturno: più difetti che pregi

C’è un pezzo d’ Italia che non somiglia a nessun altro. Chi ci vive porta in sé i segni di una guerra continua; non è un posto sperduto chissà dove, si trova a meno di 200 Km da Roma: è Castel Volturno, in provincia di Caserta. Negli anni ’70 era considerato il sogno della borghesia napoletana come luogo di villeggiatura. È in quel periodo che, con la spinta di immobiliaristi senza scrupoli, si compie una delle più grandi speculazioni edilizie del nostro Paese. “Un’utopia, un paradiso perduto”. Le parole sono state espresse dal New York Times, il 17 maggio 2017, ed evidenziano la svolta sbagliata, nel presunto periodo di utopia, di Castel Volturno durante il quale circa 12.000 appartamenti, lungo il mare e nella vicina città, vennero costruiti in violazione delle leggi di zona. Alla fine, molti residenti furono costretti a lasciare le loro case. Quello che rimane oggi è un luogo abbandonato e degradato. Tutto ciò a causa del “Villaggio Coppola” conosciuto anche come “Pinetamare”. Sorto a partire dalla seconda metà degli anni settanta, si ispirava al “modello” urbanistico di insediamento turistico abitativo di Baia Domizia. Purtroppo, l’impostazione data a Pinetamare fu molto diversa da quella di Baia Domizia, perché i fratelli Coppola, allora proprietari, costruirono in modo intensivo, facendo scempio di un’area bellissima della Campania. 

La costruzione del nucleo del villaggio ha inizio a metà degli anni sessanta: le otto torri, le villette vista mare, il centro commerciale, le strade di accesso e tutte le vie interne, la rete fognaria ed elettrica e il depuratore. Tutte le iniziative realizzate nell’ambito del Villaggio Pinetamare, incluse le torri, sono fatte sulla base di licenze rilasciate in quegli anni. Al sacco edilizio si uniscono poi gli interessi del Clan chiamato “dei Casalesi”, che a lungo ha spadroneggiato sul litorale Domizio, fino alla tragica notte della strage di Castel Volturno, nella quale sono stati trucidati 6 immigrati ghanesi e un italiano.

Cosa è rimasto oggi di quel sogno? Chi abita questo luogo? Chi si è salvato?

 

Tra immigrazione incontrollata, senza rispetto dei parametri, spaccio di droga, prostituzione, case occupate e saccheggiate, assistiamo a un vero e proprio “ritratto della sopravvivenza”.

 

La prostituzione dilaga ed è un vantaggio per i mafiosi locali. Con il tramonto, ogni sera, la Via Domitiana, un’antica strada romana che corre parallela al mare, si trasforma in una lunga pista per le donne, tantissime dall’Africa, che offrono i loro corpi ai passanti per un po’ di soldi.  Il 90% della popolazione vive in appartamenti abusivi e solo il 30% paga le tasse; ciò impedisce al comune di avere fondi necessari per intervenire sull’abusivismo. Infatti, secondo il sindaco di Castel Volturno, ci vorrebbe un “secondo piano Marshall”, cioè un ribaltamento finanziario per demolire, ricostruire e mettere in regola tutto il territorio comunale. Oltre al problema dei fondi, si aggiunge l’impatto ambientale che causerebbe la dispersione d’amianto/eternit usato per costruire la baraccopoli. Uno dei pochissimi pregi di questo posto è la clinica privata della Pineta Grande, che di fatto sostituisce l’ospedale pubblico. Ha un pronto soccorso con più di 150 accessi al giorno, la maggior parte di immigrati. Questa clinica ha una strumentazione molto avanzata, ed è considerata, dall’opinione pubblica, l’unica “isola felice” di Castel Volturno. 

Ad offrire maggiori sbocchi lavorativi è il settore nautico con l’Accademia abilitata per simulazione di situazioni pericolose, come ad esempio un incendio nella sala motore.  Nonostante i continui tentativi di impedire l’abusivismo, Castel Volturno fa parte di un racconto tragico, a tratti senza speranza, nel quale i bisogni dei cittadini onesti non trovano la risposta delle istituzioni.

Scritto da Marialaura di Martino e Jacopo Cianci, 1C

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